Camminando su questo ponte di terra volgiamo lo sguardo verso l'orizzonte del mare e scorgiamo una lunga e stretta striscia di sabbia di quarzo impalpabile e chiarissima, che degrada dolcemente in un mare dal fondale basso dal colore smeraldino. Girando invece lo sguardo dal lato opposto, verso l'entroterra, la vista si perde nell'orizzonte abbagliante del grande bacino dello Stagno di Sa Salina Manna e della contigua area stagnale di Pauli Marigosa, due aree umide residuo di un antico braccio di mare rimasto chiuso dall’emersione di due cordoni sabbiosi che hanno riunito il Capu Mannu alla terraferma.
Sono entrambi bacini idrici poco profondi, dove anche in condizioni di massima capacità l'acqua non supera in genere i 40 cm, dato che gli apporti idrici derivano esclusivamente dalle scarse acque piovane che vi si raccolgono, senza alcun contributo di acque dolci da parti di fiumi immissari. Questo fatto, insieme alla forte evaporazione, fa sì che nei mesi caldi la salinità delle acque raggiunga concentrazioni estreme mentre si riduce drasticamente la superficie degli stagni, che in estate arrivano a prosciugarsi totalmente, lasciando il posto ad una accecante distesa di sale bianchissimo, delimitata da una fitta vegetazione lacustre composta essenzialmente da alofite, con praterie di Salicornia e Juncus.
Data l'eccessiva salinità il sito non ospita alcuna specie ittica e non è dunque sfruttato per finalità produttive di cattura ed allevamento di pesci e molluschi ma questo scenario assolutamente inospitale per la fauna acquatica è invece un preziosissimo habitat per l'avifauna migratoria e stanziale. Qui si possono osservare, tra gli altri, la Garzetta, il Fenicottero rosa, il Falco di palude e quello Pellegrino, il Cavaliere d’Italia, l'Avocetta, il Piviere dorato, il Combattente, il Piro Piro boschereccio, il Gabbiano roseo e quello corso, la Sterna zampenere e quella comune, il Beccapesci, il Fraticello, il Mignattino piombato, il Martin pescatore, la Calandrella, il Calandro e la Magnanina.
Il sito ospita anche specie di piccoli anfibi e rettili, tra i quali il Rospo smeraldino e la Raganella sarda (anfibi), la Testuggine greca, la Lucertola campestre, il Gongilo ocellato e il Biacco (rettili).
Dopo aver percorso in direzione nord tutta la lunghezza di questo ponte naturale, giungiamo al porticciolo di Mandriola, una pittoresca borgata di pescatori frazione di San Vero Milis, che si affaccia sull'omonima spiaggia di Mandriola.
Il borgo, a tratti, si protende quasi sull'acqua e in estate molti residenti usano lasciare i loro effetti personali nella pineta che separa il villaggio dal litorale: amache, canoe, strumenti per la pesca, aggiungendo fascino ad un luogo che sebbene stia diventando oggetto di attenzione e curiosità da parte dei turisti, resta ancora un angolo verace e meravigliosamente identitario, vissuto dalla sua piccola comunità come un bene comune, dove lo spazio pubblico e quello privato si fondono e confondono.
E' questo, in fondo, che regala la calda sensazione di trovarsi in un luogo in cui si smette di essere turisti per sentirsi ospiti in visita ad amici, sensazione che del resto si percepisce in tutta la costa racchiusa fra Capo Pecora e Cuglieri e che ha incantato intellettuali ed artisti che qui, protetti dalla semplicità distante anni luce dalla Sardegna più turistica, hanno finito per diventare parte della comunità locale nel più rilassante anonimato.
A livello geografico Mandriola si trova all'estremità meridionale del promontorio di Capo Mannu, che si protende verso l'orizzonte occidentale attaccato al Sinis da quelle poche strisce di terra che sembra quasi voler portare via verso il largo e che ci ricordano che un tempo il Capo era davvero un'isola e gli stagni mare aperto.
Come abbiamo già accennato, a Capo Mannu ci sono degli spot notissimi a tutti gli amanti del surf e del windsurf ed è diventato meta popolare, a livello locale, verso la fine degli anni '80, quando era frequentato soprattutto dagli sportivi della zona. Oggi rappresenta in Europa una delle mete più ambite per la pratica di questo sport in quanto il Capo è esposto a tutti i venti dei quadranti occidentali, in particolar modo al Maestrale, che spesso genera onde di alcuni metri di altezza. Da alcuni anni è diventato anche uno dei punti di riferimento in Italia per kitesurf sulle onde e ogni anno qui si svolge il "Capo del Capo", una competizione surfistica di livello nazionale.
A parte l'attrattiva dal punto di vista sportivo, il promontorio offre un paesaggio di superba e selvaggia bellezza, che si può esplorare a piedi o in bicicletta seguendo il sentiero sterrato che da Mandriola corre lungo tutto il bordo della scogliera del promontorio. Oppure, sempre da Mandriola, si possono imboccare una serie di strade e sentieri più interni che consentono di raggiungere le spiagge di Cala di Matta'e sa Figu, a sud ovest del Capo, la spiaggia di Sa Mesa Longa a nord e quella di Su Pallosu a nord est.
Sull'altopiano svettano un faro di segnalazione e una bellissima torre costiera di avvistamento, edificata dagli spagnoli intorno al 1572 e rimasta in funzione fino al 1842, a presidio della costa dalle incursioni, soprattutto saracene ma anche per proteggere gli impianti delle saline che sorgevano nei dintorni.
Dalla torre spagnola si apre la vista su una spiaggia che merita assolutamente una sosta, quella di Sa Mesa Longa, che significa "la tavola lunga" e si trova nell'ampio golfo che si apre nella parte settentrionale del Capo. È una delle poche spiagge di tutta la Sardegna ad essere completamente al riparo dal Maestrale ed è particolarmente apprezzata dai surfisti.
La spiaggia è una lunga mezzaluna sabbiosa multicolore, con sfumature che vanno dal giallo ocra della sabbia al rosa acceso della battigia, fatta di sassolini e minuscole conchiglie. Al centro della spiaggia spicca un isolotto, collegato al gruppo di scogli che chiude il golfo a nord da una lunga secca affiorante di forma allungata - "sa mesa longa", appunto – che ripara il golfo dal mare aperto, facendolo somigliare ad una laguna esotica dal mare sempre calmissimo. Questo muro naturale, a pochi metri dalla riva, si può raggiungere a nuoto o, quando c’è bassa marea, a piedi su scogli piatti percorribili, regalando la suggestiva sensazione di poter camminare sull’acqua.
Contigua a Sa Mesa Longa, in direzione nord est, scopriamo un altro piccolo gioiello: il borgo di pescatori di Su Pallosu, posto nella parte più settentrionale del Capo, che è diventato famoso per la curiosità di ospirare la più famosa colonia di felini della Sardegna.
Irina e Andrea sono i due storici gattari residenti nella borgata, che tra mille difficoltà e tanto amore gestiscono la presenza dei gatti, sia i pochissimi storici, nati e cresciuti nella borgata sia i tanti che vi sono stati irresponsabilmente abbandonati da ignoti. Se amate questi eleganti animali, certamente non potete perdervi questo luogo e la sua particolare storia legata alla presenza dei felini da spiaggia, ben narrata sul sito internet della colonia felina ( www.gattisupallosu.org ).
La spiaggia di su Pallosu e l'omonimo vecchio villaggio di pescatori si trovano a nord est dell'estrema punta del Capo, davanti al quale si trova la piccola Isola de Sa Tonnara, il cui nome evoca la funzione del borgo, che dagli anni 20 agli anni '50 del '900 ospitava una Tonnara gestita dalla famiglia genovese dei Plaisant e di cui oggi resta ancora ben visibile la tipica architettura funzionale all'economia della pesca al tonno.
Su Pallosu nel 2007 ha fatto da set a "Le ragioni dell'aragosta”, un film del 2007 diretto ed interpretato da Sabina Guzzanti, che lo ha anche presentato al Festival di Venezia.
La Locandina del film "Le ragioni dell'aragosta"
Il cast è composto da comici ospiti storici "Avanzi", una trasmissione cult in onda tra gli anni '90 e i primi del 2000 e fra questi, oltre alla stessa Guzzanti, compaiono Pier Francesco Loche, Francesca Reggiani, Cinzia Leone, Antonello Fassari e Stefano Masciarelli. Gli attori, nelle vesti di sé stessi, si ritrovano a distanza di quindici anni nella borgata di Su Pallosu, per allestire uno spettacolo teatrale che sensibilizzi l'opinione pubblica sulla crisi in cui versano i pescatori di aragoste nell'isola.
La trama è una trasposizione romanzata di una storia vera, ancora troppo poco conosciuta seppure straordinaria, che ruota intorno alla figura carismatica di Gianni Usai, “l'operaio pescatore”.
Classe 1946, arburese di nascita, figlio di un minatore che perse il lavoro per conseguenza del suo attivismo politico in difesa dei lavoratori e che sarà costretto ad emigrare in Piemonte portandosi dietro tutta la famiglia. Così a 16 anni Gianni diventa torinese e operaio alla Mirafiori della Fiat, dove resterà per 17 anni.
Sono tempi durissimi, di lotte sindacali per la conquista di diritti fondamentali per i lavoratori in Italia e lui su quel fronte si muove in prima fila, assumendo posizioni di rilievo nel mondo politico e sindacale. Ad un certo punto però tutto quel vissuto, in termini di bagaglio esperienziale, viene volontariamente sradicato, raccolto e portato via con sé a porre radici in un altrove lontano e dimenticato, su cui solo un visionario avrebbe scommesso tutto.
E' il 1980. Gianni ha 34 anni, si licenzia dalla Fiat, abbandona tutti gli incarichi politici e sindacali e percorre a ritroso il suo cammino di emigrato, tornando in Sardegna per cominciare una nuova vita. Dopo tanti anni vissuti fuori dall'Isola insieme alla famiglia qui è ormai quasi uno straniero. Ha imparato a fare un mestiere che difficilmente potrà riciclare nella sua terra natia ma porta con sé anche un altro bagaglio esperienziale fondamentale: la capacità di coordinare le persone, spronare i lavoratori alla consapevolezza, ispirare, esplorare orizzonti mai battuti. E un talento naturale riconosciuto da tutti: carisma da vendere e doti di leader, ma di quel genere pacato che sa tanto ascoltare quanto parlare e che sa porsi come “primus inter pares”.
Solo che Gianni tutto questo lo porta con sé in una zona marginale e periferica della Sardegna, dove non esistono fabbriche né industrie e lo trapianta dunque nel terreno più improbabile in cui potesse essere messo a dimora: la sabbia e la terra innaffiata di acqua di mare di Su Pallosu, che invece si rivelerà, incredibilmente, un ambiente fertilissimo per nuove radici.
Gianni Usai intervistato da Mauro Tuzzolino, giugno 2019
Nel 1980 Su Pallosu è un angolo sperduto della costa occidentale dell'isola in cui non v'è più traccia di alcuna tradizione di pesca e in quello stesso anno, proprio lì, dal nulla, Gianni fonda la Cooperativa di Pescatori di Su Pallosu. E questo piccolo miracolo fu possibile perché in quella bizzarra frontiera si erano rifugiate, quasi per caso, altre vite umane che per desiderio o necessità avevano dovuto completamente cambiare rotta e ricominciare da zero.
Vite che poi si incontrano: quella di Gianni e di un gruppo di barbaricini ex pastori che avevano scelto Su Pallosu per cominciare una nuova vita, abbandonando le montagne, comprando delle barche, e imparando il nuovo mestiere un po'dai pescatori liguri di Carloforte, un po' dai Catalani di Alghero e un po' dai Ponzesi, gli unici frequentatori del litorale.
A sua volta Gianni impara il mestiere di pescatore dagli ex pastori e in cambio li aiuta a mettere insieme un sistema di organizzazione comune del lavoro, facendogli capire che potevano crescere come impresa collettiva, superando gli egoismi. Ma anche un'altra cosa, ancora più importante ed incredibilmente all'avanguardia per l'epoca, ciò che diventerà poi l'asso nella manica e il segno distintivo del futuro della cooperativa stessa: nutre la loro coscienza ambientalista, educa la consapevolezza della necessità di difendere il mare e la sua biodiversità, di impegnarsi nello sfruttamento sostenibile dello stock ittico esistente, in un'epoca in cui il mare dava ancora tanto, dove si predava quanto più era possibile e dove il concetto di “Blue Economy” non si era mai sentito, perché nascerà solo decenni più tardi e molto più a nord della Sardegna.
Ma che le risorse ittiche siano limitate è un dato di fatto e senza una seria regolamentazione prima o poi cominceranno a scarseggiare fino ad esaurirsi. I primi a dover essere convinti che comportarsi come le cicale alla lunga si rivela una scelta suicida sono proprio i pescatori e loro sposano questa convinzione, quando agli occhi del mondo ancora apparivano come una specie di bizzarra Armata Brancaleone.
Invece i pescatori lavorano insieme per migliorare il proprio presente e insieme difendono il mare, con lo sguardo volto al futuro anziché sul tornaconto immediato. Sono pionieri di una visione per l'epoca assolutamente inusuale ma proseguono motivati, tanto che tra il 1987 e il 1988 prendono i primi contatti con la facoltà di biologia marina dell’Università di Cagliari, per cercare di fermare la pesca a strascico illegale, che nella seconda metà degli anni '80 aveva fatto danni incommensurabili. A
All'epoca infatti era praticata non solo su fondali sabbiosi ma anche di scoglio e utilizzava attrezzi fatti di rulli e catene, che strisciando sul fondo spaccavano tutto, distruggendo l’habitat di molte specie marine, le uova e la posidonia, fondamentale habitat di molte specie.
La collaborazione si farà via via sempre più stretta, consolidandosi intorno alla figura del professor Angelo Cau, e si rafforzerà nel decennio successivo, quando i soci diventano l'avanguardia di un progetto di ripopolamento di quelle acque, in particolare di tutela delle aragoste, quasi sparite, allora, dalla zona. Con l’università si mettono sullo stesso tavolo lo studio e la ricerca del mondo accademico e il know how dei pescatori, basato sull’esperienza pratica in una osmosi costante e proficua per tutti quanti.
La strada seguita da Gianni e dalla Cooperativa di Su Pallosu puntò a fare dei pescatori i primi guardiani del mare, trasformandoli da predatori a custodi e allevatori, attraverso un vero e proprio processo di alfabetizzazione ambientale e di coscienza collettiva sul lavoro e nella comunità. Gli stessi che poi si troveranno, in parallelo, a condurre un'altra lotta inimmaginabile: quella diretta a richiamare le istituzioni a fare la loro parte per sostenere i coraggiosi sforzi nati dal basso non solo attraverso l'emanazione di una legislazione adeguata ma anche attivando poi i relativi controlli da parte delle capitanerie, per anni punti deboli, debolissimi su cui si arenavano molti degli sforzi.
E ancora, condussero mille altre battaglie, non solo in difesa del mare ma anche per ottenere dalla Regione leggi e strumenti che garantissero condizioni migliori per chi sceglieva di impegnarsi in un progetto di pesca ecosostenibile che, ottenute, resteranno patrimonio di tutti i Sardi, anche se in tanti ancora non conoscono questa piccola grande storia del passato recente che fece crescere l'occupazione, la coscienza civile, il benessere del mare del Sinis e restituì al villaggio di Su Pallosu la sua antica vocazione, rendendolo famoso oltre mare.
Oltre a “le ragioni dell'aragosta” questa vicenda ha ispirato anche un altro film “Non mi basta mai”, diretto da Guido Chiesa e Daniele Viccari e un bellissimo documentario “Piccole aragoste crescono” che si può liberamente guardare sulla piattaforma Vimeo https://vimeo.com/423189175
La borgata di Su Pallosu si estende nell'area più a nord del Capo, che visto dal satellite pare in procinto di prendere il largo sfilacciando la trama di terra che lo lega al resto del Sinis. Da qui, volgendo lo sguardo a est seguendo la linea del mare, si apre un vasto golfo che senza soluzione di continuità ospita le spiagge di Sa Marigosa, Sa Rocca Tunda e Su Crastu Biancu; una mezzaluna di sabbia dai granelli finissimi di colore ambra chiaro e il mare di un azzurro – turchese acceso, caratterizzato da un fondale basso e sabbioso. Mediamente frequentata durante i mesi estivi, resta appartata rispetto alle spiagge dei dintorni, più conosciute e risulta sempre poco affollata per via delle sue grandi dimensioni, anche se alle spalle dell'arenile si estende Sa Rocca Tunda, un tranquillo villaggio di seconde case, frazione di San Vero Milis.
Poco distante dal villaggio si trovano altre due aree umide di questo Sinis che fino alla sua frontiera più a nord sembra un pizzo di terra e acqua, dove l'elemento solido e quello liquido si alternano continuamente nell'entroterra costiero. Sono l o Stagno di Pauli Marigosa, a pochi metri dal mare tra Su Pallosu e Sa Rocca Tunda e lo Stagno di Is Benas.
Pauli Marigosa si trova all'interno dell'area SIC ITB030028, la stessa in cui ricadono gli stagni di Pauli Mesalonga e Salina Manna, con cui forma l'area umida contigua degli “Stagni di Putzu Idu”. Ha un'estensione di circa 25 ettari e presenta una profondità media di 40 centimetri e una massima di 80 centimetri. Non possiede immissari e non comunica con il mare e raccoglie solo l'acqua piovana, per cui le acque raggiungono una notevole salinità e d'estate, sovente, si prosciuga totalmente.
Lo Stagno di Is Benas si estende per circa un kmq nell'entroterra orientale del golfo di Sa Rocca Tunda è inserito nella lista delle zone umide di importanza internazionale predisposta sulla base della convenzione di Ramsar, con le direttive comunitarie "Habitat" n. 92/43/CEE e "Uccelli" n. 79/409/CEE e già dagli anni '70 viene riconosciuta sito di interesse comunitario (SIC ITB030035) e zona di protezione speciale (ITB034007) insieme allo Stagno di Sale 'e Porcus, con il quale comunica nei periodi in cui le intense piogge fanno innalzare il livello delle acque di quest’ultimo.
La profondità massima dello stagno si aggira intorno ai 3,5 metri; la più elevata tra gli stagni del Sinis, che mediamente si colloca intorno ai 1,30. Nel versante settentrionale comunica con il mare attraverso un canale artificiale costruita nel 1953 lungo 600 metri, largo 6 metri e profondo 1 m; per questo motivo la salinità è elevata, prossima a quella del mare, anche se il canale scolmatore tende periodicamente ad interrarsi, in seguito all’accumulo di sabbie e resti vegetali marini. Lo stagno non presenta immissari naturali ma nella sponda sud-orientale riceve le acque del canale artificiale di bonifica di Benetudie.
La concentrazione salina dell’acqua e del suolo determina una flora dominata dalle specie Juncus e Salicornia mentre piccoli nuclei di specie Phragmites sono localizzati in corrispondenza della canalizzazione di apporto di acque dolci di Benetudie. La flora sommersa è invece rappresentata in prevalenza da Zoostera marina e Posidonia oceanica.
L'area ospita l'habitat di una numerosa avifauna migratoria e qui nidificano il Cormorano, la Garzetta, il Fenicottero, il Falco di palude, l'Albanella reale, il Falco pescatore, il Pellegrino, il Cavaliere d’Italia, l'Avocetta, Combattente, il Piro piro boschereccio, il Gabbiano roseo, la Sterna zampenere, il Beccapesci, la Sterna comune, il Fraticello, il Mignattino piombato, il Mignattino, il Martin pescatore, la Calandrella, il Calandro e la Magnanina.
La fauna comprende anche piccoli anfibi, come il Rospo smeraldino e la Raganella sarda e rettili, fra cui la Lucertola campestre, il Gongilo ocellato e il Biacco.
In questo specchio d'acqua dai colori e dalla pace quasi surreali, piccolo capolavoro della natura, si esercita l'attività di pesca di Mugilidi, Anguille, Spigole, Saraghi, Granchi, Gamberetti, Ghiozzi la cui gestione è affidata dalla Regione alla Cooperativa Pescatori Sant'Andrea, di Riola Sardo, costituita nel 1956, che la pratica sia con i lavorieri, costituiti da pilastri in cemento e griglie in PVC, che mediante reti da posta e bertovelli.
“Is Benas è un gioiello: sia per la qualità del pesce sia come spazio di salvaguardia ambientale. Le istituzioni possono e devono stare al nostro fianco per rilanciare la storia di una comunità”, scrive il direttore del FLAG Pescando Mauro Tuzzolino, in un’intervista al Presidente della Cooperativa Sant'Andrea pubblicata sul sito internet del FLAG.
Il presidente della cooperativa è Raffaele Manca, nipote di “Zinniga” un pescatore divenuto leggenda in zona, nei primi decenni del '900.
Raffaele Manca con una scolaresca in visita allo stagno di Is Benas
Come si legge nell'intervista, Raffaele, classe 1958, da ragazzo si è dedicato anche alla pesca del corallo, un tempo molto diffusa perché particolarmente redditizia ma che nel tempo è stata completamente abbandonata, quando in zona si è diffusa una maggiore consapevolezza sulla pesca sostenibile. Oggi è un signore dai modi particolarmente affabili e gentili che in diverse occasioni ha prestato il volto come testimonial di campagne di comunicazione promosse dal FLAG Pescando, per informare e sensibilizzare il pubblico su tematiche legate al rispetto degli ecosistemi marini e costieri, al consumo consapevole di pesce, alla necessità di rendere sempre più sostenibile l'attività della pesca e sempre più responsabile il mestiere di pescatore.
La Cooperativa Sant'Andrea, attualmente composta di nove soci, ha raccolto anch'essa una sfida importante volta dimostrare quanto valore può portare questo piccolo stagno sia per la pesca e i produttori sia dal punto di vista della salvaguardia ambientale. Dai tempi delle prime battaglie pionieristiche di Gianni Usai, questo approccio è stato accolto ed interiorizzato, nel corso di un paio di generazioni, da tantissimi pescatori locali, tanto che oggi le cooperative di pesca sono spesso in prima fila nelle attività di salvaguardia dell'ecosistema e di sensibilizzazione e nella promozione dell'innovazione applicata alla produzione. Oggi come ieri, però, questo impegno è volto in parte anche a sollecitare una maggiore attenzione da parte delle istituzioni, che devono effettuare regolarmente quegli interventi strutturali che non possono essere affrontati dalle piccole imprese di pesca che gestiscono gli stagni e, come ricorda Raffaele nell'intervista, “la pulizia dei canali per garantire il ricambio di acqua e l’ossigenazione è fondamentale: qualche mese fa siamo stati impegnati una settimana (ovviamente improduttiva) per rimuovere tonnellate e tonnellate di alghe. Questo è uno stagno piccolo che ha bisogno della cura costante da parte nostra. Ma quando il problema è strutturale il nostro sforzo è vano e rischiamo sempre che lo stagno vada in anossia”. […]
[…] “Il nostro è l’unico compendio dove puoi trovare ancora la Pinna Nobilis, ce lo ha confermato recentemente un monitoraggio di IMC. L’Università di Cagliari intenderebbe seminare l’arsella (sempre locale) anche in relazione alla qualità delle acque. Io voglio lasciare ai nostri figli i luoghi migliori rispetto a come li ho trovati. Ma ripeto, l’impegno deve essere corale e attendiamo un’attenzione diversa da parte delle istituzioni. L’atteggiamento è troppo spesso quello delle restrizioni; il pescatore è pronto a sacrificare il proprio modo di interpretare il mestiere ma pretende in cambio qualcosa”.
Con la speranza che il dialogo tra le istituzioni e i pescatori prosegua sempre più forte e con lo sguardo incantato da un affascinante paesaggio palustre che ha il sapore di una frontiera in cui finisce un mondo, lasciamo lo stagno di Is Benas e proseguiamo il nostro itinerario in direzione nord.
Ed è davvero un confine l'area di Is Benas, sia in termini paesaggistici sia storico culturali. Qui, infatti, termina il Sinis e poco dopo comincia il Montiferru, che gravita intorno ad altri baricentri, soprattutto il bellissimo borgo di Cuglieri e le sue frazioni costiere.
Anche il paesaggio muta, da ora in poi e dopo la parentesi sabbiosa del vastissimo sistema dunale della spiaggia di Is Arenas, nascosta dietro un'immensa pineta in cui si concentra il maggior numero di camping di tutta la costa ovest, tornano le alte falesie, che salendo verso nord si faranno via via sempre più morbide, candide e sinuose, modellate dal vento in spettacolari forme di archi, colonne, fiordi e altipiani lunari che mozzano il fiato al viaggiatore più disincantato.
Ma tutto questo merita un viaggio ed una narrazione a sé ed è ciò che scopriremo nella nostra prossima ed ultima tappa di viaggio.