È una storia a lieto fine, come abbiamo visto ma, proseguendo il nostro viaggio, scopriremo che quella vittoria finale fu una battaglia che si sarebbe potuta svolgere in un teatro infinitamente più ampio se solo prima non ci fosse stata la "guerra alle acque", condotta da uomini ben più forti e potenti dei pescatori, al di là dell'immensa barriera verde in cui abbiamo terminato la tappa precedente.
Anche questa è un'epopea; la terza che ci troviamo a narrare nel nostro viaggio e benché tale definizione sia impegnativa (lo sappiamo) non la usiamo con leggerezza. Perché non possiamo solo chiamarla "storia".
Le storie riempiono di significato le cose, i luoghi e le comunità, senza tuttavia trasformarle nelle fondamenta. Le epopee sì. Sradicano, dissodano in profondità, piantano nuove cose che sopravvivono a lungo, con radici fortissime, mutando paesaggi naturali e umani, equilibri economici e sociali, come in quella che stiamo per raccontarvi e che comincia al di là del fronte boscoso, compatto e fittissimo, che separa longitudinalmente l'area lagunare e l'entroterra, partendo da Marceddì fino allo stagno di S'Ena Arrubia, al confine con il comune di Santa Giusta.
"Barriera verde", "fronte boscoso", aggettivi decisamente aggressivi ma volutamente scelti.
Perché il bellissimo paesaggio naturale che si impone alla vista, volgendo le spalle al mare, è stato diretto e curato nella sua crescita dalla mano dell'uomo, proprio per fare da argine tra il mondo della gente di mare, spesso dominato dal maestrale sferzante e salato e il mondo della gente delle campagne, che deve proteggere le colture da quel vento.
La strada che prendiamo da Marceddì per attraversare il bosco di pini e poi di eucalipti è la SP69, una striscia di asfalto dritta, stretta ma scorrevolissima e seguendo una normale guida turistica sareste invitati a percorrerla velocemente, per raggiungere subito Arborea e la peculiare bellezza del suo caratteristico centro storico, dall'architettura ordinata ispirata agli stili razionalisti più in voga nei primi decenni del '900, dove fermarvi giusto qualche ora per degustare qualche piatto tipico locale che si discosta nettamente dalla tradizione culinaria sarda, visitare un paio di attrazioni sparse tra il centro e la campagna e ributtarvi appena possibile ad ovest, in una delle tante stradine dritte della fitta maglia viaria perfettamente ortogonale che, anche andando alla cieca, alla fine ti riportano sempre sul mare, la Marina di Arborea. Oppure sareste invitati a proseguire a nord, verso Oristano e il Sinis, per vedere più cose possibili nella stessa giornata.
Ma questi non sono racconti per turisti, per i quali la meta è lo scopo. Una meta da raggiungere nel più breve tempo possibile, osservarla nelle sue forme modellate dalla natura e dall'uomo, vivere nella dimensione del presente e magari immortalarla in qualche scatto da condividere con il proprio pubblico social.
Questi sono racconti per viaggiatori, lo abbiamo già detto. E per i viaggiatori l'andare è il vero scopo, scoprire quelle storie che poi rendono possibile guardare le forme modellate dalla natura e dall'uomo, e gli uomini stessi, con la consapevolezza del come, del perchè e del quando, conoscere, oltre che vedere, per gustare meglio la dimensione del presente stesso.
Al turista bastano una mappa sullo smartphone e un portale internet, per non perdersi e sapere il tanto che basta a conoscere "cosa è questo e cosa è quello"; al viaggiatore servono storie, per orientare tutti i sensi e le emozioni e portare via ricordi profondi.
Quindi, prima di proseguire, dobbiamo sapere che nell’immenso dedalo di stradine perpendicolari attorno ad Arborea troveremo, nascoste fra gli alberi, altri sette piccoli villaggi: Torrevecchia, subito dopo Marceddì e poco dopo Luri, lungo il rettilineo della SP69. Poi Linnas, svoltando a destra del primo bivio principale mentre girando a sinistra, in direzione Arborea, potremmo raggiungere Pompongias, con un'altra svolta a sinistra e Tanca Marchesa in direzione Marrubiu. E oltrepassando Arborea, diretti verso Santa Giusta e Oristano, altri tre minuscoli agglomerati rurali: S'Ungroni, lungo la via maestra e poi, sulla destra, Centro Uno Sassu e Centro Due Sassu.
E che per quanto piccoli, silenziosi e apparentemente deserti vale la pena soffermarsi a scoprirli, perchè se non fossero esistiti loro non sarebbe mai esistita Arborea e nemmeno l'immenso bosco di pini.
E dobbiamo anche sapere che nei pressi di Luri e dello stagno di S'Ena Arrubia, lungo la strada che porta a Santa Giusta, ci imbatteremo in due suggestive architetture industriali: le idrovore di Luri e di Sassu, che per quanto tra loro diverse nello stile, servivano e servono al medesimo scopo: nascondere al loro interno un complesso di potenti pompe idrauliche che prosciugano l'acqua di un'area vasta che fino ai primi anni del '900 era conosciuta come "la palude malsana dell'oristanese", infestata dai parassiti che causano la malaria.
E che senza questi potenti macchinari nascosti tra i campi non ci sarebbero nè Arborea nè l'immensa pineta e tantomeno i sette piccoli villaggi.
Perchè questa terra fertile e generosa non è un dono spontaneo di Madre Natura ma il bottino duramente conquistato con la "guerra alle acque", una metafora bellicosa che il regime fascista coniò per arricchire di suggestione propagandistica l'opera nazionale di bonifica integrale , volta allo svuotamento idraulico delle terre malsane al fine di recuperarle all'uso agricolo e destinarle ad un nuovo modello insediativo che prevedeva la costruzione ex novo delle cosiddette "città di fondazione", che a partire dal 1928 e fino ai primi anni '40 sorsero in molte regioni d'Italia, in Dalmazia e Istria e nelle colonie: nel Dodecanneso greco, in Libia, in Eritrea e in Somalia.
In Sardegna ne furono fondate tre principali, con le rispettive frazioni: Arborea, Fertilia e Carbonia (quest'ultima per finalità non agricole) e altre minori, che non venivano considerate vere e proprie città di fondazione ma "centri di servizio", privi delle caratteristiche urbanistiche di un insediamento con funzioni anche residenziali e separato dalla campagna.
Arborea, fondata nel 1928 con il nome "Villaggio Mussolini" e inaugurata dal Re Vittorio Emanuele III, divenne comune autonomo nel 1930, con il nome di Mussolinia.
Fu la prima città di fondazione fascista e prese il nome attuale solo nel 1944, anche se per alcuni studiosi città di fondazione non lo è nemmeno lei e nemmeno, tecnicamente, "città fascista", come sostiene l'architetto Claudia Mura nella sua tesi di dottorato, curata dal professor Paolo Sanjust.
In epoca fascista, infatti, Arborea non fu fondata da zero ma divenne "città" in seguito all'ampliamento delle architetture e delle funzioni di un preesistente centro servizi, il villaggio Alabirdis, che per la sua posizione baricentrica rispetto agli altri sette villaggi, sparsi su un territorio molto vasto, potè trasformarsi in città di coordinamento. Di fatto, però, città lo divenne, assumendo il ruolo di centro di riferimento, anche abitativo, separato dalla campagna in cui sorgevano le case coloniche sparse, costruite sugli appezzamenti di terreno assegnati alle famiglie allargate che vi si insediarono per lavorare la terra e abitare stabilmente la campagna.
L'area rurale circostante fu divisa e appoderata secondo un modello urbanistico e sociale diluito, alieno alla tradizione rurale della Sardegna, che comunque espresse sempre centri abitati autosufficienti e separati.
I contadini, i pastori e spesso anche i pescatori, si recavano a lavoro per poi rientrare in paese, talvolta migrando per mesi in alloggi comunque sempre temporanei. È il caso dei falaschi dei pescatori dell'oristanese, ad esempio o dei "cuiles", in cui i pastori trascorrevano lunghi periodi isolati dal resto della famiglia, che in Sardegna è sempre stata organizzata prevalentemente secondo il modello nucleare.
Nel nuovo modello che qui fu realizzato si costruì una società nuova, sperimentando per la prima volta in Italia un progetto urbanistico che, ben riuscito, poi fu replicato altrove da nord a Sud nella penisola, soprattutto nell'Agro Pontino in Lazio, con dimensioni ben maggiori. La sperimentazione attuata nell'oristanese, comunque, fu un test decisivo per lo sviluppo successivo della politica nazionale delle grandi bonifiche e della creazione delle città di fondazione.
Alabirdis, che fu appunto un primo esperimento, divenne Arborea senza una cerimonia di posa della "prima pietra", come accadde invece per Carbonia e Fertilia, nè alcun documento che ne programmò la nascita ex novo e la costruzione degli otto piccoli borghi avvenne prima dell'era fascista, sulla base di enormi progetti di riqualificazione agraria realizzati nei primi anni del '900.
Mussolini utilizzò quanto già impostato da altri e lo rese funzionale alla sua politica ruralista, antiurbana e antimodernista, nell'ottica di un ritorno alla terra e alla civiltà contadina, che l'ideologia fascista contrapponeva come argine alla grande urbanizzazione, vista come un elemento che favoriva l'aggregazione e il dialogo tra masse proletarie e i movimenti politici antifascisti. Una politica, quindi, funzionale sia all'aumento della produttività agricola sia al controllo sociale.
Nei centri minori furono costruiti tutti o alcuni dei servizi principali, come la chiesa, la casa del fascio, un ambulatorio, la scuola, la caserma della milizia, organizzati intorno ad una piazza o ad un asse viario.
Arborea divenne municipio solo nel 1931; vi fu posta la sede municipale, la torre littoria, l'ufficio postale molti altri servizi ulteriori, oltre ad alcune aree residenziali.
L'architettura delle città di fondazione, come osserveremo ad Arborea e come, in tono minore si nota anche nelle sue piccole frazioni, non era semplicemente funzionale alla realizzazione delle infrastrutture ma, attraverso l'estetica, diventava un simbolo che rafforzava l'immagine di un modello non solo urbano ma anche sociale completamente nuovo. Sebbene sparso e diluito, il potere centrale era ribadito in ogni infrastrutturazione e, diversamente da quanto abbiamo già osservato nelle aree minerarie, questo potere visibile anche in modo plastico nel paesaggio e nell'architettura non era solo quello gestionale della grande azienda industriale ma quello dell'ideologia politica statale.
E ora partiamo, alla scoperta di questo bellissimo territorio immerso nel verde, percorrendo la SP69 verso Arborea.
Attraversando la grandissima pineta ciò che colpisce subito l'attenzione è la regolarità del paesaggio; una sensazione strana dopo aver percorso strade piene di curve lungo paesaggi continuamente mutevoli e sempre aperti ad un orizzonte vastissimo.
Qui l'orizzonte è chiuso, ombreggiato, sbarrato da filari infiniti di alberi e, soprattutto è ordinatissimo. Se altrove abbiamo avuto l'impressione di trovarci in qualche paesaggio esotico, lontano dall'Europa, qui qualcosa rimanda sempre i sensi alle grandi pianure del nord Italia.
Le strade sono dritte, lunghe, tutte perfettamente perpendicolari fra loro tanto che, pur nell'ordine perfetto, è facilissimo perdersi. Non vediamo più campi incolti e tutto il paesaggio è segnato dalla presenza umana.
Sembra un paesaggio inventato, disegnato altrove e incollato come una toppa sull'Isola di Sardegna, e in effetti è proprio così.
Un tempo non lontano, fino ai primi del '900, tutto l'entroterra del Golfo di Oristano era un'area umida senza soluzione di continuità. Una specie di "pizzo" traforato in cui vi era più acqua che terra, attraversato da una maglia infinita di fiumiciattoli che alimentavano piccoli e grandi stagni e che nei mesi di piena allagavano le campagne, creando un ambiente inadatto allo sviluppo di un'agricoltura redditizia.
Questo è anche il motivo, che oggi può sorprendere chi ignori la storia, per cui comuni piuttosto distanti dalla linea costiera, come Terralba, Marrubiu e molti altri, siano così vocati alla pesca e legati all'economia di mare. Fino a tempi recenti, infatti, si affacciavano su un infinito sistema lagunare, dove era più probabile diventare pescatore che agricoltore.
C'era un altro fattore, però, che rendeva difficilissimo essere pescatore tanto quanto agricoltore: la presenza, in quell'ambiente paludoso, di zanzare del genere Anopheles che, se infettate dal parassita del genere Plasmodium, infettavano a loro volta l'uomo attraverso le comuni punture, causando la malaria, che comporta gravi stati febbrili debilitanti e perfino la morte.
Nel 1897 accadde poi un fatto, di natura amministrativa e politica, che indirettamente cambiò il corso della storia del Golfo di Oristano, mutando per sempre il paesaggio naturale, economico, demografico e sociale. Fu infatti emanata una legge che per la prima volta prevedeva di realizzare grandi infrastrutture per creare bacini di irrigazione. Fu allora che cominciarono gli studi per la costruzione della grande diga sul fiume Tirso, che tra il 1918 e il 1924 fu poi realizzata, su progetto dell'Ing. Omodeo, da cui prende il nome l'omonimo lago creato dalla grande diga.
Dato che il Tirso sfocia nel Golfo di Oristano e che la rete fluviale minore che alimentava gli stagni dell'immensa area umida tra Santa Giusta e Marceddì era comunque dipendente dal sistema idraulico del Tirso stesso, un politico illuminato e coraggioso, l'avvocato Felice Porcella, prima sindaco di Terralba e poi deputato, decise fin dal 1911 di dedicare tutta la sua energia e l'impegno politico per dirottare in loco una parte delle risorse per risolvere per sempre sia il problema della fragilità del territorio davanti alla furia periodica delle acque, sia quello della malaria, che faceva dell'area la zona più infestata d'Italia.
La storia di questo politico, a cui oggi è dedicata la via principale di Terralba è visionaria, coraggiosa e tragica.
Sognava di ottenere la realizzazione di una bonifica totale, che portasse un miglioramento delle condizioni sanitarie ed economiche per la sua gente. Immaginava una vasta pianura, sicura e fertile, in cui la popolazione locale e altra forza lavoro da tutta l'isola potesse trovare benessere e riscatto grazie alla possibilità di praticare una rinnovata agricoltura e una pesca più sicura.
La storia è lunga, molto lunga e complessa e qui non può essere raccontata.
Certo è che l'avvocato terralbese, che sognava un nuovo Eden per la Sardegna e i Sardi, vista l'inefficacia del dialogo con le autorità statali dovette cercare alleanze con grossi gruppi imprenditoriali privati italiani, gli stessi che poi resero effettivamente possibile la realizzazione del suo sogno ma che ne presero completamente il controllo, scippandolo alla visione originaria.
Una porzione immensa di nuova terra fu regalata all'Isola, dove prosperò e prospera una delle economie agricole tra le più moderne e redditizie in Sardegna e all'avanguardia a livello nazionale. La malaria fu debellata, molte terre furono cedute per un prezzo molto inferiore al loro valore e la ricchezza e la fortuna si rimescolarono, aumentando ma distribuendosi in un modo che, nei decenni successivi, lasciò scie di risentimento e lacerazione sociale, quando Terralba, dove tutto cominciò, perse la maggior parte del suo territorio demaniale bonificato quando questo, infine, divenne Arborea.
La storia poi continuò a mescolare tutto, anche la politica e giunsero gli anni in cui l'epoca liberista tramontò, si impose il ventennio fascista e fu esso a scippare quel sogno già scippato prima, rendendolo ancora più imponente ed importante e dandogli infine l'impronta definitiva, sia a livello estetico sia funzionale.
Quando tutto fu pronto, tra il 1927 e il 1928, cominciò l'opera di colonizzazione della campagna di Arborea e delle sue frazioni. Sebbene per le opere di bonifica fu impiegata massicciamente la manodopera locale, ad insediarsi nei poderi e nelle case coloniche furono chiamati soprattutto veneti e altra popolazione da varie regioni italiane.
Il lavoro era durissimo e questa era, a tutti gli effetti, una terra di frontiera da conquistare resistendo. La maggior parte giungeva in esplorazione, cercando impiego temporaneo come bracciante e solo successivamente decidevano se immigrare definitivamente.
Molti rientravano ma la maggior parte di loro vi si trasferì con tutta la famiglia allargata ed era proprio questo il modello familiare che si cercava di intercettare.
Molto si è scritto e dibattuto su questa parte della storia, che spesso è ancora letta con residua polemica. Certo è che i Sardi subirono da parte dei politici italiani il pregiudizio che li riteneva meno disposti al sacrificio e alla fatica, come anche più portati all'individualismo, quest'ultima cosa tendenzialmente anche vera, per ragioni culturali legate ai modelli produttivi e sociali locali che si sono radicati nella storia. Di fatto, però, il sistema era pensato per coloni disposti a vivere in famiglie allargate e anche questa organizzazione sociale era decisamente poco praticata nel sistema culturale locale, dove la famiglia nucleare ha sempre prevalso.
Inoltre, le condizioni in cui si trovarono a vivere i primi pionieri erano effettivamente molto dure, rigidamente sottoposte al controllo dell'apparato organizzativo e il regime riteneva che sarebbe stato molto difficile convincere i locali a restare a vivere nelle case coloniche e che questi avrebbero finito per abbandonarle per fare i pendolari e continuare a vivere nei paesi di provenienza, cosa che era massimamente contraria all'ideologia che sottostava alla base di questo immenso disegno economico, ambientale, sociale.
Alla fine, però, ciò che troveremo oggi proseguendo il nostro itinerario sarà una comunità perfettamente integrata e bizzarra, in cui si mescolano le lingue sardo e veneta, in cui i piatti tipici sono a base di polenta e in cui è sorta una delle aziende casearie più importanti ed eccellenti d'Italia, la 3A di Arborea, che però non lavora il latte ovicaprino, come da tradizione sarda ma quello vaccino. Anche i sardi della zona sono diventati in buona percentuale agricoltori ma non hanno mai smesso di guardare al mare come il faro della propria economia e proprio qui ad Arborea, terra di scontro e oggi di incontro e confronto, ha trovato il clima adatto per nascere e svilupparsi un'altra grande azienda, eccellenza a livello italiano nella produzione e commercializzazione di prodotti ittici: la Nieddittas di Arborea.
E ora che conosciamo la storia di questo luogo, sarà bellissimo gironzolare in uno strano pezzo di Sardegna che sembra Veneto e che è diventato un piccolo gioiello di organizzazione ed efficienza di cui tutto il territorio è ormai orgoglioso.
LA CITTÀ
Giunti nel centro di Arborea, facciamo prima una passeggiata tra i suoi edifici più rappresentativi, in stile neogotico e liberty. Cominciamo dalla piazza centrale, dedicata a Maria Ausiliatrice, dove colpisce immediatamente la chiesa parrocchiale del Cristo Redentore in stile neoromanico con richiami all'architettura tradizionale della Padania e delle valli dell'Adige. Sul campanile dai colori vivaci spicca la scritta "ex limo resurgo", risorgo dal fango; un chiaro richiamo alle origini del paese.
Sulla piazza si affacciano molte altre costruzioni caratteristiche risalenti alla fondazione, tra le quali l'austera e simmetrica Scuola Elementare, il dopolavoro (oggi Teatro Salesiano), la casa degli impiegati, originariamente adibita ad alloggio per gli impiegati della Società di Bonifica Sarda; la locanda del Gallo Bianco e gli storici locali commerciali.
In via Omodeo possono essere ammirati il Municipio del 1931, in stile tardo liberty, che conserva al suo interno una raccolta di materiale archeologico proveniente da una necropoli romana a nord di Arborea; la Villa del Presidente della Società Bonifiche Sarde ,con annesso un magnifico parco; la Villa del Direttore della Società Bonifiche Sarde e il monumento a Giulio Dolcetta, progettista e realizzatore della Bonifica di Arborea.
Meritano una visita anche il palazzo della Società Bonifiche Sarde , che sorge in Corso Italia; la Casa del Fascio (oggi Circolo Ricreativo); la Casa del Balilla, struttura costruita dal regime fascista per l’educazione della Gioventù, che comprendeva palestra, spogliatoi, piscina all’aperto per bambini, campo sportivo; il Mulino e il Silos, il Mercato e l’Enopolio; la prima Casa del Fascio, in via Sardegna, oggi abitazione privata; la Casa del Fattore in via Oberdan.
Nelle borgate rurali si conservano alcuni edifici colonici di interesse storico, come la casa del fattore nei borghi di S’Ungroni, Pompongias e Torrevecchia ma, soprattutto, le due architetture più simboliche della storia delle bonifiche: l’idrovora di Luri e l’idrovora del Sassu.
L'idrovora di Luri, del 1934, si trova lungo la strada 3 Ovest, a breve distanza dall'omonima frazione. Progettata dall'architetto Flavio Scano, fu realizzata nel 1934 per prosciugare le paludi malariche di Estius, Arba e Luri. Nonostante l'edificio abbia una funzione essenzialmente industriale, presenta elementi decorativi baroccheggianti, misti a contaminazioni meccanico-futuriste, che gli conferiscono un aspetto da piccolo tempio. Nella facciata principale l’aspetto più curioso sono due semiruote dentate, che ricordano gli ingranaggi della macchina.
Sempre nel 1934 lo Scano realizza l’idrovora di Sassu, situata lungo la SP49 che collega Arborea a Santa Giusta, realizzata per prosciugare il grandissimo stagno di Sassu su cui oggi sorge Arborea, che in origine si estendeva per 3270 ettari.
L'architettura di questo impianto, pur essendo destinato alle medesime funzioni di quelo di Luri è completamente diverso, poiché la natura instabile del terreno, paludoso e sabbioso, obbligava all’uso del cemento armato sia nelle fondamenta che nelle murature. Inoltre, nella mente dell’autore, l’edificio non doveva soltanto rispondere alla funzione di drenare e raccogliere acque stagnanti e malariche, ma doveva esprimere una spinta verso un risanamento globale che portasse benessere a quelle terre a alle sue popolazioni. Così tutta l’ideologia rurale del fascismo anima l’idrovora, autentico monumento moderno del Novecento sardo, costruita secondo uno stile che richiama al Futurismo e e al Razionalismo, su cui si innesta il repertorio iconografico di stampo fascista, tra cui spicca il fascio littorio.
Una visita speciale è certamente da riservare al Museo della Bonifica, in Corso Italia, che espone materiali e documenti sulla storia della bonifica e una sezione speciale che conserva invece i reperti archeologici rinvenuti nell'area.
Il piano terra ospita la sezione storica, composta di due sale: la prima dedicata alle architetture della città e agli architetti che le hanno realizzate e la seconda dedicata al territorio circostante nel corso delle opere di bonifica. Su un plastico multimediale vengono proiettati filmati d'epoca e riprese video aeree che trattano i diversi aspetti della bonifica della Piana di Terralba. Un tavolo touch screen consente invece la consultazione di circa 800 immagini storiche dell'archivio della Società Bonifiche Sarde e foto aeree recenti. Sono poi disponibili delle audioguide in quattro lingue per la visita alle principali architetture.
Il secondo piano ospita invece la sezione archeologica, anch'essa suddivisa in due sale. La prima espone una raccolta di reperti provenienti dal sito di Orrì, l'antica città nuragica nei pressi di Marceddì, su cui sorge l'omonimo pozzo sacro. La seconda sala raccoglie invece tutto il materiale archeologico rinvenuto durante gli scavi e il prosciugamento dei terreni nel corso delle bonifiche e che soprattutto riguarda reperti che vanno dall'epoca tardo punica a quella bizantina.
La visita al museo, unico nel suo genere in Sardegna, è la prima tappa che si consiglia di fare appena giunti ad Arborea, sia per visitare il centro cittadino sia per scoprire le altre possibilità che offre il territorio e prenotare eventuali visite guidate.
IL TERRITORIO E GLI ATTRATTORI NATURALISTICI
Curiosamente, uno degli attrattori su cui punta il turismo cittadino, oggi, è la visita alle aree umide superstiti, quelle che, pur ridottissime rispetto alle dimensioni precedenti la bonifica, costituiscono insieme alle altre aree umide dell'oristanese l'area lagunare più estesa della Sardegna, considerata oggi di fondamentale importanza per la conservazione degli ecosistemi che ospitano gli habitat di una numerosissima ed eterogenea avifauna.
Dall'era delle bonifiche molta acqua è passata sotto i ponti, anche in senso metaforico.
L'evoluzione del territorio si è modellato parallelamente all'evoluzione della coscienza e sensibilità collettive verso la tutela ambientale che in questa comunità, nata strappando la terra all'acqua, si è imposto negli anni come punto di riflessione collettivo particolarmente urgente.
Oggi gli Stagni di S’Ena Arrubia e di Corru S’Ittiri sono entrambi Siti di Importanza Comunitaria (SIC) inseriti in Rete Natura 2000 come siti Bioitaly, nonché oasi di protezione faunistica tutelati dalla Convenzione di Ramsar nel 1977 e sono raggiungibili anche attraverso gli itinerari della pista ciclabile comunale.
E' possibile noleggiare biciclette per esplorare il territorio e una comoda mappa interattiva guiderà alla scoperta di un territorio in cui è particolarmente facile, comodo e sicuro muoversi con bambini, sia per la natura del terreno sia per la qualità dei servizi disponibili per chi desideri immergersi nella scoperta del territorio, in ogni stagione.
In questo link, i riferimenti per scaricare la mappa degli itinerari ciclabili.
Lo stagno di S'Ena Arrubia, comodamente raggiungibile direttamente dalla SP49, proseguendo nella direzione di Santa Giusta, è ciò che resta del grande stagno salato di Sassu, che aveva un'estensione di 3270 ettari e che oggi ha una superficie di circa 300 ettari, alimentato da canali artificiali di acqua dolce, convogliate dall'idrovora di Sassu e da un fiumiciattolo denominato canale Sant'Anna; lo scarico, invece, avviene sul mare mediante saracinesche dislocate fra un villaggio di pescatori ed una pineta costiera, che a sud si espande fino alla lunghissima spiaggia di Arborea.
Oggi lo stagno è gestito da una cooperativa di pescatori, che vi pescano spigole, anguille, carpe e muggini e oltre che per la pesca è utilizzato anche per l’irrigazione.
La rigogliosa vegetazione acquatica comprende piante quali il Giuncheto, lo Scirpeto e il Fragmiteto.
E questa, insieme all'abbondanza di pesce, attira diverse specie di uccelli palustri, alcuni dei quali molto rari, nidificano sulle sue sponde, come il Tabaruso, l'Airone rosso, il Fistione turco, il Cannareccione, il Martin Pescatore. Sono di passaggio, invece, le Folaghe, i Cormorani, gli Aironi, i Gabbiani e i Fenicotteri rosa, che sostano qui durante le migrazioni tra Africa e Francia.
Nel confine Sud di Arborea troviamo anche lo stagno di Corru e s'ittiri, di San Giovanni e Marceddì, il più pescoso di tutta la Sardegna, su cui ci siamo già soffermati nella precedente tappa ma che, da qui, possiamo raggiungere nuovamente anche attraverso i comodi itinerari ciclabili, adatti anche ai più piccoli e ai ciclisti occasionali.
Arborea ha anche 9 km di litorale, la Marina di Arborea, caratterizzata da una spiaggia granulosa e bianca, facilmente accessibile in tutta la sua estensione dalle tante strade parallele che si innestano perpendicolarmente alla SP49, la strada maestra che attraversa il centro cittadino e prosegue fino a Santa Giusta. In particolare, l'accesso diretto, da sud verso nord, è possibile imboccando le strade che vanno dalla n°18 ovest alla n°30 di Sassu, semplicemente proseguendo sempre dritti fino a raggiungere il mare. La porzione più a nord della spiaggia, contigua allo stagno di S'Ena Arrubia, si raggiunge anche attraverso strade secondarie che si congiungono alla 29^ strada e proprio in quel tratto si trova il Camping S'Ena Arrubia, un punto di riferimento importante per visitare l'area, anche perché è il primo campeggio sul mare che incontriamo da quando abbiamo cominciato il nostro viaggio alla scoperta dei luoghi del FLAG Pescando.
La marina di Arborea è particolarmente frequentata per la sua facilità di accesso, per la presenza della pineta retrostante, sempre fresca ed ombreggiata anche in estate e per la particolare sicurezza dei fondali, bassi e sabbiosi e delle acque, sempre calme, che la rendono meta ideale per i bambini.
TRADIZIONI E MANIFESTAZIONI
C'è infine un'altra particolarità che rende questo territorio così interessante e meritevole di una visita che non sia solo di passaggio e sono le espressioni della vita culturale che, come è facile intuire, sono un felice innesto in terra sarda di tradizioni del nord Italia, soprattutto venete delle zone di Treviso, Rovigo, Padova e Venezia e friulane.
Da sempre, le amministrazioni che si sono avvicendate, hanno mantenuto vivi i rapporti con la terra d'origine della maggioranza della popolazione discendente dai primi coloni, attraverso numerosi gemellaggi comunali. Dal 2019 Arborea è diventata "Comune onorario del Veneto", iscritta nel Registro dei comuni onorari che si distinguono per la valorizzazione dei rapporti di scambio e reciprocità fra le comunità venete emigrate e la regione d'origine.
Una tradizione popolare ancora particolarmente sentita è l'Epifania, durante la quale si svolge il rito chiamato "Brusa la Vecia" (brucia la vecchia). Il giorno dell'Epifania, negli spazi delle case poderali, le famiglie accendono i falò con il fantoccio della “Vecia”, rievocando una tradizione molto antica mentre il giorno successivo si accende un falò comunitario attorno a cui si raduna tutta la popolazione.
Le manifestazioni più importanti sono tutte legate al mondo agricolo o al rinsaldo dei rapporti con la cultura di origine.
Ogni anno, tra aprile e maggio, ha luogo la Fiera dell'Agricoltura, una delle fiere tematiche più importanti nell'isola che attrae l’interesse sia degli addetti del settore che dei turisti, arricchita da un calendario di manifestazioni di contorno ed eventi gastronomici, tra cui la più celebre è la Sagra delle fragole.
Verso la fine di ottobre si organizza la Sagra della Polenta, un appuntamento particolarmente caro alla numerosa comunità locale di origine veneto-friulana e romagnola, che anno dopo anno celebra le antiche le antiche tradizioni culinarie delle famiglie contadine provenienti dal nord Italia. In questa occasione si può degustare la polenta nelle varianti più tipiche, come la polenta con la luganega (salsiccia), la polenta con tocio (spezzatino) o ad esempio la polenta con il radicchio trevigiano.
Un altro appuntamento imperdibile viene organizzato ogni anno a fine luglio, la Festa delle Etnie, una rassegna gastronomica dedicata alle tradizioni delle comunità di origine dei coloni che storicamente compongono la realtà sociale di Arborea, in cui si propongono piatti tipici della Sardegna, del Friuli, del Veneto della Romagna e del Lazio.
Salutiamo infine questa comunità, frutto di un esperimento economico e sociale ben riuscito, che ha saputo innestarsi perfettamente nella storia locale, tanto che le generazioni contemporanee della zona faticano ad immaginare che un tempo non così lontano, qui, ogni cosa era diversa.
Proseguendo, esploreremo Oristano e i suoi dintorni, nel cuore del territorio del FLAG, dove un tempo sorgeva la più importante area urbana della Sardegna, con le città di Othoca e Tharros; dove poi fu promulgato il primo codice di leggi scritte in Europa; dove visse una delle sovrane più affascinanti della storia e dove la civiltà nuragica lasciò le sue tracce più misteriose ed affascinanti.
Arrivederci alla prossima puntata!