Crisi epidemiologica e settore pesca. Ne parliamo con Stefano Paolo Atzei, 55 anni, Pescatore da 40, comandante della Motobarca Peregrina di 11,85 mt.
a cura di Mauro Tuzzolino
La telefonata con Stefano riesce ad essere intima pur in questo clima di distanziamento sociale. Ci conosciamo ormai da qualche anno ed è sempre un piacere scambiare con lui punti di vista, pensieri, immagini e sensazioni, perché Stefano ha uno sguardo progettuale, assolutamente privo di quella tendenza molto comune alla lamentela; alla ricerca semmai di una relazione armonica con il mondo. Parlare con Stefano ha quasi un potere rilassante, ti trasmette l’idea che è venuto il momento di fermarsi e riflettere con il giusto tempo. Ha i “ritmi” del pescatore e, sebbene non abbia mai avuto occasione di osservarlo in azione, immagino la medesima flemma nella sua quotidiana relazione con il mare.
Che tipo di pesca pratichi nella tua attività?
R: Pesco con i tramagli da 5, 4,5 e 4, maglie molto larghe per la pesca delle aragoste. Oltre alle aragoste pesco pesce di taglia grande, scorfani, sanpietro, rane pescatrici, dentici, paraghi.
Peschi in “area FLAG”, giusto?
R: Esatto. La mia area di pesca è quella della costa centro occidentale, la zona costiera di Oristano. Sempre entro le venti miglia.
La pesca costituisce la tua unica fonte di reddito?
R: Assolutamente si.
Cosa sta succedendo alla tua attività con la crisi epidemiologica in corso?
R: È un periodo veramente nero. Il mio è un prodotto di nicchia, che viene utilizzato principalmente dal settore ristorazione e turistico alberghiero. In questa fase, come sappiamo, tutte le strutture HORECA sono chiuse. C’è insomma un consumo molto limitato.
Quindi stai pescando meno?
R: Certamente. Il commerciante ci ritira il prodotto soltanto due giorni alla settimana, invece di sei. Questo significa che sto uscendo a pescare massimo due giorni alla settimana, sempre tempo permettendo. Il mio lavoro e conseguentemente il mio reddito sono diminuiti del 70%.
Come trascorri il tuo tempo “liberato”?
R: Lavoro con maggiore cura alla preparazione degli attrezzi da pesca. Poi noi pescatori abbiamo la fortuna di poterci muovere, se non altro per andare in banchina a fare i lavori di manutenzione alla barca. Nel frattempo ne ho approfittato anche per fare l’orto: tutte le piantine della prima necessità, come le chiamo io, dagli aromi alle verdure rosse e verdi. Mi sta dando tanta soddisfazione, avevo proprio bisogno di riappropriarmi di quel che mangio.
Quali sono a tuo avviso i problemi “strutturali” della pesca? Cosa avrebbe potuto attenuare gli effetti della crisi sul settore?
R: L’impatto della crisi si poteva affrontare, e ci stiamo lavorando in questi giorni, dando la possibilità al pescatore di vendere direttamente il pesce a domicilio, porta a porta, un po’ come fa la Coldiretti con Campagna Amica. E del resto questo era anche un progetto che stavamo sviluppando già prima della crisi con la Legacoop, attraverso l’introduzione della app Brizo, che permette una vendita diretta del pescato. Il problema in questa situazione è avere la possibilità di poterci spostare per vendere direttamente al cliente. Io ho una rete di clienti con cui mantengo una relazione. E in questi giorni tantissimi di loro volevano ordinarmi prodotto, ma al momento non ho la possibilità di farlo per le limitazioni agli spostamenti e per i problemi burocratici. Le autorità competenti stanno cercando di semplificare e spero riescano in tempi rapidi. C’è per esempio il problema dello scontrino, per cui dovrei fare uno scontrino per ogni transazione, cosa che non succede in agricoltura: con venti clienti dovrei fare venti fatture e non mi pare molto agevole. Già è necessario un ragioniere in barca per compilare tutto quel che siamo obbligati a compilare …
Comunque, ribadisco, il problema vero per noi è legato al blocco della ristorazione e del turismo. E da questo punto di vista mi sembra che la crisi sia appena all’inizio. Certamente per quest’anno il turismo ce lo possiamo dimenticare.
Il blocco dell’Horeca e il calo generalizzato di consumo sta inoltre ribassando molto il prezzo del prodotto dal 50% a salire. Proprio stamattina al mercato l’aragosta ha fatto 35€/kg quando di solito fa almeno 70€. Il rischio è di prelevare il prodotto che subisce una svalutazione dalla dinamica del mercato.
E c’è anche un problema di tassazione: aragoste, astici e gamberi, come prodotti di lusso, hanno l’iva al 22%. E questo riduce le nostre possibilità di margine e dunque di reddito.
Cosa succederà, Stefano? Come impatterà questa crisi nel medio termine, aldilà degli effetti diretti sul comparto pesca?
R: Secondo me ci dovrà essere un grande utilizzo della telematica. Come ben sai, stavamo facendo un corso, che abbiamo dovuto interrompere: anche se sarà più complicato dovremo abituarci all’idea di svolgere tante attività a distanza. Un dato culturale che noi abbiamo è quello dello stare insieme, della condivisione e questo sarà per noi un costo alto. Purtroppo la paura rimarrà e, temo, saremo costretti a cambiare le nostre abitudini.
Quello che a me manca molto in effetti è la libertà. Io non sono solito uscire per andare a passeggiare, a fare shopping o andare al bar a trascorrere il mio tempo. A me piace scoprire in solitudine i luoghi remoti dei nostri territori. Faccio lunghe passeggiate, quasi sempre da solo. E le limitazioni dovute alla crisi le trovo, ancorché necessarie, insopportabili, mi fanno proprio male.
Tu hai due figli; come stanno vivendo i giovani questa strana fase?
R: Il figlio maschio ha un lavoro qui e riesce tutto sommato ad organizzarsi. Ma comunque, a parte l’orario di lavoro che gli hanno ridotto per la crisi, sta sempre a casa e ne soffre, come immagino ne soffrano tutti i giovani che hanno bisogno di movimento e relazione. Mia figlia è attualmente bloccata alle Canarie con il fidanzato: mi racconta che si organizzano a fare il pane, a cucinare. Insomma si danno da fare e si adattano alla situazione.
Cosa pensi del comportamento delle istituzioni nell’affrontare la situazione di crisi?
R: Nei confronti del nostro settore registro certamente un’assenza. È un settore spesso trascurato e poi, come al solito, ci sono ritardi insopportabili. Le istituzioni dovrebbero supportarci al meglio. Ma io non le sento vicine.
C’è qualcosa, secondo te, che questa crisi ci insegna, ci lascia in eredità?
R: Penso di sì. In primo luogo stiamo imparando che possiamo benissimo vivere consumando meno, rinunciando a tutta una serie di cose superflue. Si può vivere con meno, lavorando meno e consumando meno. E questo avrebbe sicuramente un impatto positivo sul nostro ambiente. Stiamo cominciando a riscoprire la trasparenza dei fiumi! Anche per quanto riguarda il nostro settore, potremmo fare tesoro di questa drammatica esperienza. Potremmo pescare meno, riducendo le giornate e gli attrezzi da pesca e recuperare margini attraverso la vendita diretta del pescato; certo sarebbe utile anche il supporto dell’istituzione che potrebbe riconoscere incentivi in cambio di un vincolo al numero delle giornate di pesca. E in ultimo, come dicevo, dobbiamo imparare a usare la tecnologia che ci può offrire una grande mano di aiuto per queste e altre situazioni.
Saluto Stefano dopo questa piacevole chiacchierata con l’augurio sincero di poterci riabbracciare presto. Perché al di là di tutto “il piacere di abbracciarci non ce lo può togliere questo maledetto virus, perché noi siamo uomini del sud e di mare e ne andiamo orgogliosi”.