Crisi epidemiologica e settore pesca. Ne parliamo con Mauro Steri, Responsabile Pesca di LegaCoop Sardegna e vice-presidente del FLAG Pescando.
a cura di Mauro Tuzzolino
La crisi epidemiologica sta perdurando oltre ogni iniziale aspettativa. E le ripercussioni sul nostro sistema economico e sociale sono evidenti; a maggior ragione sui sistemi produttivi locali, che oltre al lockdown, scontano una certa fragilità strutturale, sia in termini dimensionali sia in termini organizzativi. Il mondo della pesca locale, con piccoli operatori artigianali, non fa eccezione. Che cosa sta comportando la crisi sanitaria in corso per il settore Pesca? Cosa fanno in questo momento le cooperative di pesca e i singoli pescatori? La pesca rientra certamente tra i settori essenziali a cui non è preclusa la possibilità di continuare a lavorare e tuttavia leggo in giro che il settore è particolarmente colpito. Ci dai un tuo punto di vista con riferimento al territorio della Sardegna?
R.: Nonostante l’attività di pesca rientri tra le attività economiche consentite, tutto il settore è in forte crisi con una riduzione dell’attività su tutto il territorio Regionale che arriva anche al 70%. Tale riduzione colpisce tutte le principali filiere del settore ittico presenti in Sardegna: pesca marittima, acque interne e mitilicoltura ed è dovuto a diversi fattori tra i quali le chiusure delle attività alberghiere e di ristorazione, la ridotta attività dei mercati ittici all’ingrosso, un generalizzato calo della domanda e la sospensione di tutte le attività multifunzionali (ittituristiche su tutte). La pesca marittima oltre ad aver ridotto notevolmente le giornate di pesca, quindi l’attività in termini quantitativi, ha una forte riduzione anche in termini qualitativi: le specie più pregiate, tra tutte l’aragosta la cui attività di pesca è consentita dal 01 Marzo al 31 Agosto, hanno pochissimi sbocchi commerciali dovuti al peculiare momento che tutti stiamo vivendo e tanti operatori hanno scelto di tenare i tremagli a terra. La pesca nelle acque interne, oltre alle difficoltà date dal mercato, per la peculiarità del prelievo -che spesso avviene con gli operatori che praticano una circuizione stando dentro i lavorieri in piedi- devono fronteggiare anche i problemi legati alle norme di sicurezza introdotte in questo periodo: in mancanza di adeguati DPI, che in questo periodo scarseggiano, è impossibile mantenere il distanziamento sociale previsto dalle nuove norme e per questo motivo tanti compendi hanno responsabilmente deciso di anteporre la salute e la sicurezza del lavoratore al prosieguo dell’attività economica, di fatto sospendendo tutte le attività ad eccezion fatta dei servizi di guardiania e piccole attività di prelievo marginali effettuate da un singolo operatore a bordo di un’imbarcazione. Per quanto riguarda la mitilicoltura, alla difficoltà di commercializzare il prodotto, in questo caso amplificata anche dalla difficoltà dei viaggi verso il continente, occorre specificare che gli addetti si trovano comunque costretti a seguire le semine con il rischio concreto di non essere poi nelle condizioni di riuscire a vendere tutta la produzione.
Quali sono gli aspetti specifici più problematici? Logistica? Abitudini di consumo? Commercializzazione? Aspetti organizzativi, burocratici …?
R.: Diciamo che spesso si tratta di una somma di più aspetti: sicuramente la commercializzazione ha il suo peso: spesso, ma non sempre, le imprese di pesca non commercializzano in proprio il pescato ma lo vendono a terzi per la successiva prima immissione sul mercato e ciò naturalmente non consente loro di poter pianificare a pieno l’attività di pesca soprattutto in un periodo particolare come questo. Uno degli sbocchi privilegiati del pescato era dato poi dalle attività alberghiere e di ristorazione e la loro chiusura ha sicuramente fatto diminuire in maniera drastica la domanda di prodotto ittico. A ciò naturalmente si sommano, soprattutto per la filiera della mitilicoltura, i problemi logistici. Sul fronte della burocrazia stiamo invece cercando di lavorare in una direzione tale da consentire agli operatori la consegna a domicilio del proprio pescato: la vendita diretta del pescato allo sbarco è considerata a norma di legge quale attività propria di pesca e non ha bisogno di nessun percorso autorizzativo particolare, anzi l’operatore che vende il proprio pescato allo sbarco va in esenzione ad alcuni obblighi quando si tratta di piccoli quantitativi venduti al consumatore finale. Ovviamente le norme varate per contenere l’emergenza sanitaria in corso, giustamente, limitano gli spostamenti dei singoli cittadini e di conseguenza non è possibile vendere direttamente il proprio pescato allo sbarco, stiamo quindi cercando di prevedere la consegna a domicilio del pescato, come avviene per altre attività, senza gravare i pescatori di ulteriori appesantimenti burocratici e autorizzativi, ovviamente in via del tutto eccezionale e legata temporalmente al perdurare di questa situazione emergenziale.
Riusciamo a fare un focus sulla Sardegna Centro Occidentale, sul territorio di pertinenza del Flag Pescando?
R.: Anche nell’ambito territoriale del FLAG Pescando la situazione è comune al resto del territorio sardo, con la peculiarità che in tale territorio sono localizzate alcune delle più importanti lagune produttive della Sardegna. Le imbarcazioni della pesca marittima escono in media due giornate alla settimana, i compendi ittici hanno tutti drasticamente ridotto se non addirittura sospeso del tutto le proprie attività e gli ittiturismo, che sono un grande valore aggiunto per le nostre imprese di pesca, in ottemperanza alle vigenti norme sono chiusi.
Quali sono a tuo avviso gli elementi strutturali (quindi indipendenti dalla fase attuale) che rendono più acuta la crisi per il settore?
R.: Sicuramente alcuni pagano l’eccessiva frammentazione del settore e la difficoltà nel gestire e nel governare il mercato: occorre fare aggregazione tra imprese, pianificare l’attività di prelievo legandola alla domanda e ragionare in termini di filiera.
Quali sono le proposte che come organizzazione state facendo sia all’Amministrazione regionale che allo Stato? Intendiamo sia le proposte per attenuare gli effetti della crisi, sia quelle per rilanciare in un futuro prossimo quando la crisi sanitaria progressivamente ci consentirà di tornare a una dimensione di normalità.
R.: Sul primo versante siamo riusciti a ottenere nel Decreto Cura Italia sia misure di sostegno ai lavoratori con la Cassa Integrazione in deroga che misure di sostegno alle imprese di pesca con l’istituzione di un Fondo di 100 milioni di euro istituito presso il MIPAAF per indennizzare il fermo pesca. Tale misura per la prima volta, oltre che per la pesca marittima (compresa la piccola pesca), è esteso anche alle acque interne e all’acquacoltura. Occorre però accelerare nel percorso di conversione in Legge e nell’emanazione dei decreti attuativi, in modo da poter erogare il sostegno in tempi accettabili. La Regione deve invece farsi trovare pronta a poter utilizzare questi strumenti qualora sia individuata come soggetto erogatore: occorre quindi essere pronti eventualmente a modificare il proprio PO FEAMP, inserire risorse e rendere operativo il Fondo Regionale di solidarietà della Pesca di cui alla L.R. 3/2006, inserire in bilancio risorse atte a ampliare gli ammortizzatori sociali e dare immediatamente respiro sia ai lavoratori che alle imprese. Occorre anche che la Regione si impegni a velocizzare e semplificare il percorso di liquidazione dei bandi FEAMP e in tempi rapidi paghi le attività già rendicontate dalle imprese. Per il futuro auspichiamo che la Regione si impegni a indirizzare le imprese verso l’aggregazione e verso la creazione delle filiere, anche stabilendo delle premialità nei Bandi FEAMP per chi si attiva in questi percorsi virtuosi: dopo una crisi, oltre che sanitaria anche sociale ed economica, di queste dimensioni ci sarà bisogno come non mai per confrontarsi sul mercato di soggetti con un’elevata capacità di pianificazione della propria attività.
Ho un’ultima domanda anche per uscire da una visione esclusivamente economicista, anche in relazione alla missione “alta” dell’organizzazione che rappresenti. Legacoop Sardegna nel suo ultimo congresso regionale ha lanciato l’idea di un nuovo modello di sviluppo essenzialmente basato su economia circolare e green. In questi giorni nel dibattito sulla crisi epidemica, molti analisti e osservatori, oltre a semplici cittadini, ripetono quasi come un mantra che nulla sarà più come prima. E individuano nella crisi un punto di rottura, prefigurando un cambio di paradigma, centrato sul rispetto dell’ambiente, sulla solidarietà e sulla centralità del mutualismo verticale (lo Stato) e orizzontale (le comunità e le imprese). Cosa ne pensi? Ritieni come molti che il COVID-19 non costituisca soltanto una crisi sanitaria? E come attualizzi il messaggio di Legacoop Sardegna alla luce di quanto sta accadendo?
R.: In effetti questa emergenza ha una dimensione più ampia di quella meramente sanitaria ed è un sintomo di una rottura di un equilibrio legato alla sostenibilità, che deve essere ambientale, economica e sociale. Dico che è un sintomo perché non è l'unico, anche se forse il più lampante, per la prima volta dal secondo dopoguerra arriva a minare le certezze acquisite da noi cittadini occidentali: basti pensare ai milioni di cittadini del sud del mondo che vivono in condizioni di estrema povertà, senza accesso alla sanità pubblica, all'istruzione, ai beni di prima necessità (acqua, cibo etc.). E' un problema antico, collegato al sistema economico risultato vincitore alla fine del secolo scorso, che antepone il profitto a tutto e che ha consentito, in termini di distribuzione della ricchezza, all’ 1% della popolazione di detenere il 90% della ricchezza mondiale.
In tal senso il modello cooperativistico ha già al suo interno le risposte necessarie: le imprese cooperative - sempre di imprese si tratta che perciò devono avere un proprio equilibrio economico - mettono al centro della loro azione economica e sociale i propri soci, le persone, le comunità in cui operano instaurando un fortissimo legame con le stesse, mirando al loro benessere e impegnandosi a integrare crescita economica e salvaguardia ambientale. Potremo definire quindi il modello cooperativistico come un modello di sviluppo economico e sociale sostenibile per definizione e il tema complessivo della sostenibilità è al centro dell'azione di Legacoop Sardegna, che nel mese di Novembre ha organizzato un partecipato convegno sul tema, facendo dialogare ta di essi i diversi attori politici, economici, sociali e delle istituzioni in genere alla presenza del Presidente di ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Da tempo, inoltre, la nostra Associazione chiede alle Istituzioni politiche di inserire come obbiettivi della propria azione i 17 Obbiettivi (Goals) di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 sottoscritto dai Governi dei 193 Paesi membri dell'ONU.
LegaCoop Sardegna vede fra i suoi aderenti oltre 50 cooperative in tutto il territorio Regionale, che impiegano oltre 600 soci lavoratori. Inclusi nel numero di cooperative aderenti ci sono anche 2 consorzi che assocciano complessivamente 20 cooperative, molte delle quali comunque associate a Legacoop anche singolarmente. Le cooperative della Pesca hanno una notevole valenza economica, con un fatturato complessivo di circa 20 milioni di euro. Sono prevalenti le imprese dedite alla piccola pesca artigianale, con importanti esperienze nella mitilicoltura (Olbia e Sant'Antioco) e nella multifunzionalità (ittiturismi ecc.).